martedì 31 marzo 2009

Il governo turco non rappresenta il popolo kurdo

Il DTP è il partito di riferimento kurdo del sud-est della Turchia

Il DTP rappresenta il popolo kurdo


Fino al 20 marzo l’AKP diceva di poter rappresentare i kurdi della zona del sud-est, ma la risposta del popolo kurdo forte, precisa e concreta era già arrivata alle celebrazioni del Newroz, facendo chiaramente capire chi è il vero ed unico rappresentante, confermandolo così con i voti di ieri, 29 marzo.
Per vincere l’AKP si è avvalso di tutte le possibilità ideologiche, economiche, politiche di cui una forza di governo può beneficiare, arrivando fino a puntare sulla carta dell’islamismo e dell’identità religiosa. Ormai, però non è più in grado di ingannare il popolo kurdo, ed insistendo sulle politiche di annientamento continuerà a perdere come è stato in quest’occasione.
In un clima di tensione, con una forte presenza militare (i militari sono stati chiamati a votare nei comuni in cui prestavano servizio), e almeno 100 persone arrestate, il DTP (Partito della democrazia del popolo) nella zona kurda si è attestato a più del 50% dei consensi, con il massimo ottenuto nel Botan (Hakkari 80%) ad Amed(Diyarbakir) ha ottenuto il 65%, riconfermando il Presidente dell’area metropolitana il sig. Osman Baydemir ed i sindaci di quasi la totalità dei suoi comuni.
Complessivamente il DTP si è aggiudicato 8 province, 51 grandi comuni e altri 40 di piccole dimensioni (meno di 30mila abitanti come Bostanici nell’area di Van).
Sono 13 le donne elette fra le candidate del DTP, considerato che sono state sedici quelle elette complessivamente in Turchia, il DTP si conferma come il primo partito a privilegiare la partecipazione delle donne, fatto che aveva già dimostrato alle elezioni politiche del 22 luglio.
Aggiudicandosi la maggioranza dei voti, nelle assemblee provinciali, e vincendo la presidenza di 8 province (Amed/Diyarbakir, Van/Wan, Batman/Heli, Siirt, Sirnak, Hakkari, Dersim/Tunceli, ed Igdir/Idir) sarà il DTP a parlare con tutti gli interlocutori nazionali ed internazionali rappresentando il popolo kurdo e le sue istanze, lavorando per una soluzione politica della questione kurda, per la pace e la democrazia in Turchia.
Il DTP e il popolo kurdo ringraziano gli osservatori italiani ed internazionali che si sono recati in Kurdistan prima e durante le elezioni ed ancora si trovano lì ad attestare la propria vicinanza e solidarietà con il popolo kurdo.
Il DTP, come dichiarato dal Presidente di Diyarbakir, Osman Baydemir, lavorerà non 8 ma 16 ore al giorno per servire il suo popolo, costruire la pace e favorire lo sviluppo dell’area. La sfida ora si rinnova per cinque anni di lavoro e sforzi non solo degli amministratori, ma della società civile tutta, e anche dei democratici italiani ed internazionali che continueranno a portare avanti progetti, percorsi e relazioni con l’area kurda della Turchia.

lunedì 23 marzo 2009

L'acqua è un diritto, l'acqua è di tutti

Si è concluso il World Water Forum
L'UNITA' SUL FORUM ACQUA E IL MANCATO ACCORDO
Istanbul 22 marzo 2009
È la Giornata mondiale dell'acqua, un bene comune a cui ancora milioni di persone non hanno diritto. Ne hanno discusso in questi giorni al World Water Forum, a Istanbul, 30 mila congressisti, insieme a una ventina di capi di Stato e circa 180 ministri dell'ambiente di tutto il mondo. A loro è affidato il difficile compito di trovare un'intesa tra le multinazionali, che hanno tutto l'interesse a considerare l'acqua una merce come le altre, e chi invece è convinto che sia un diritto umano inalienabile. Che è drammaticamente a rischio. Secondo le Nazioni Unite, la pressione demografica rischia di essere la causa della probabile e imminente crisi delle risorse idriche che colpirà il nostro pianeta. Secondo i dati dell'Onu, più di un miliardo e 200 milioni di persone non hanno accesso sufficiente alle fonti di acqua pulita e quasi altri due miliardi di esseri umani vivono senza servizi igienici. E la situazione è solo destinata a peggiorare se non si prenderanno provvedimenti rapidi, se è vero che, come stima l'Ocse, entro il 2030 saranno 3,9 miliardi le persone che vivranno in grave carenza di acqua e per la metà del secolo, quando si passerà dagli attuali sei miliardi e mezzo di abitanti a nove, questo problema riguarderà quasi la metà della popolazione mondiale, per lo più in Cina e nel sud dell'Asia.Ad aggravare la situazione, c'è anche il riscaldamento globale, che altera la natura delle sorgenti e accelera il processo di desertificazione.Nel documento finale del Forum di Istanbul, purtroppo, si legge che l'accesso all'acqua è un bisogno fondamentale umano e non un diritto. Il testo del documento enumera un certo numero di impegni per meglio gestire la richiesta di acqua e per favorire l'accesso ai servizi igienico-sanitari di cui 2,5 miliardi di persone sono ancora del tutto prive, o ancora lottare contro l'inquinamento dei corsi d'acqua, come delle falde del sottosuolo.

domenica 15 febbraio 2009

Ocalan Io, da dieci anni nell' Alcatraz turca ma la nostra lotta non si fermerà


Continuano proteste e scontri per la liberazione di Ocalan


Rilancio un interessante articolo di MARCO ANSALDO su Repubblica del 14 febbraio 2009


MUDANYA (TURCHIA) «In cella mi picchiano, ma non rinuncio a dire quello che penso. O la guerra fra Pkk e Turchia si risolve con il dialogo, o entro tre mesi il conflitto in Kurdistan diventerà peggio che Gaza». L' Alcatraz turca spunta solo la sera. Persa nella nebbia, la sagoma sinistra dell' isola di Imrali si intravede dalle luci fioche del porto di Mudanya. In questa giornata di febbraio spazzata da vento e pioggia nulla qui sembra essere cambiato. Il corso centrale dove durante il processo i Lupi grigi sfilavano innalzando le loro bandiere. Le banchine del molo dove le madri dei soldati morti in battaglia gridavano «pena di morte!». Il piazzale dove i nazionalisti davano la caccia ai giornalisti stranieri. Sono passati 10 anni dalla cattura di Abdullah Ocalan, il leader del Pkk considerato dalla Turchia il terrorista numero uno, e dai curdi un eroe, ma la guerra nel sud est dell' Anatolia continua mietendo vittime ogni giorno. Il 15 febbraio 1999 Apo, com' era chiamato dai compagni, tornava in patria impacchettato come un fagotto dalle teste di cuoio turche che lo avevano braccato in Kenya. Una fuga disperata di sei mesi in tre continenti. Che dalla Siria, dov' era rifugiato, lo aveva portato in Grecia, poi in Russia, infine per due lunghi mesi in Italia, scatenando una ridda di polemiche: dalla spericolata missione di Ramon Mantovani a Mosca all' ospitalità nella villa all' Infernetto, passando per lo sbarco di migliaia di curdi a Roma e il coinvolgimento dei servizi di mezzo mondo. Fino alla cacciata, nonostante la resistenza dei suoi legali italiani, Pisapia e Saraceni. Imrali da qui è lontana poche decine di miglia, ma andarciè impossibile. Colossali navi da guerra della Marina militare impediscono a chiunque, tranne ad avvocati e parenti, l' accesso al prigioniero. Nell' atollo, Ocalan. Sessant' anni, i capelli ormai bianchi con un principio di calvizie, è l' unico detenuto. La sinusite lo indebolisce, i pruriti lo tormentano, la prostata incalza. I suoi attuali avvocati - attraverso i quali è stato possibile organizzare l' intervista esclusiva con Repubblica - lamentano il fatto che di recente sia stato malmenato dai suoi carcerieri. Una denuncia è arrivata alle autorità competenti a Strasburgo, che hanno intimato al governo turco di rispettarei diritti del detenuto. Non si sa con quali effetti. Abdullah Ocalan, innanzitutto come sta? «Sopravvivo. Le mie condizioni fisiche sono quelle rese note dai legali. Di recente sono stato anche picchiato dalle guardie per alcune dichiarazioni rilasciate. Ma io continuerò a dire quello che penso. Saluto l' Italia, paese che ricordo con grande piacere». Perché è stato malmenato? «Non sto a raccontare quello che succede qui, perché so che cosa accadrebbe se lo dicessi. Agisco con senso di responsabilità. Loro vogliono, mettendomi in difficoltà, annientare il Pkk. Ma non ci riusciranno. Fino alla fine opporrò la mia resistenza». Come viene punito? «Mi accusano di "difesa e propaganda di un' organizzazione criminale". Mi hanno punito in 10 occasioni, per un totale di 180 giorni di cella. In pratica, posso rimanere nella mia stanza, ma mi vengono tolti gli altri diritti: i miei familiari non possono venire a trovarmi (l' ora dei colloqui è di un' ora alla settimana, quando e se le condizioni del mare lo permettono, ndr ), niente libri, radio o giornali. Mi levano anche la penna». Lei chi accusa? «Io ho il diritto di sapere chi è la mia controparte. Quello che accade qui di certo non avviene senza che il premier lo sappia. Ma Tayyip Erdogan fa quello che dicono gli Stati Uniti. Sono gli Usa e la Nato ad avermi portato qui 10 anni fa. E fanno pressione per mettermi alla prova. Mettono alla prova la mia reazione, la mia pazienza, la mia resistenza. Ma anche la mia pazienza ha dei limiti». Dicono che lei continui a guidare il Pkk da qui. E' vero? «Io dico che quest' anno si deve tracciare la strada per un dialogo, altrimenti noi curdi non possiamo essere ritenuti responsabili di quello che potrebbe accadere nei prossimi tre mesi.I problemi non si risolvono bombardando Qandil (la zona nel Nord Iraq dove gran parte dei guerriglieri si sono rifugiati, ndr .). Perché il Pkk ha forze dappertutto, in Turchia, in Iran, in Iraq, in Siria. E' organizzato nella regione del Caucaso come in Europa. E allora non entreranno in azione solo le forze armate, ma anche quelle civili. E quello che succederà sarà più esteso di quanto è successo a Gaza. Ecco perché c' è bisogno di una soluzione trovata attraverso il dialogo». A fine marzo in Turchia ci saranno elezioni amministrative. Che possibilità dà ai partiti che sostengono i curdi? «Sono elezioni molto importanti. E' necessaria la fondazione di un partito curdo di riferimento. Ma metto tutti in guardia su possibili irregolarità nel voto». Il governo però continua le riforme, e dal 1 gennaio ha avviato un canale televisivo statale in lingua curda. Non è un passo avanti? «Ma si sa che questo passo è avvenuto non su indicazione del governo, bensì su pressione degli Usa. I divieti per la lingua e l' identità curde sono noti. In carcereè vietato pronunciare anche due parole in curdo, e poi si mette su un canale televisivo! La nostra concezione della democrazia parte sempre dal basso. Qui invece si tratta di qualcosa imposto dall' alto. Lo Stato istituisce il suo canale. E con il canale in lingua curda vuole creare anche i suoi curdi. Attraverso quella tv si vuole completare l' opera mettendo sotto controllo la dimensione culturale». A lei staa cuore il Medio Oriente,e la Turchia di recente siè proposta come mediatore fra Israele e gli arabi. Che cosa ne pensa? «Ho visto che il premier Erdogan si batte perché ci sia un dialogo fra Israelee Hamas. Ma perché non investe un pezzettino della sua energia per il suo Paese?». Il personaggio LA VITA Abdullah Ocalan nasce il 4 aprile 1948. Laurea ad Ankara, dopo il golpe del ' 71 si arruola nel servizio civile LA POLITICA Nel ' 78 fonda il Pkk. Nell' 84 inizia la lotta armata contro il governo turco per creare uno stato curdo LA CATTURA Dieci anni fa le teste di cuoio turche lo arrestano in Kenya.
Dal 15 febbraio 1999 è rinchiuso nel carcere di Imrali PER SAPERNE DI PIÙ www.todayszaman.com/tz-web www.mfa.gov.tr/default.en.mfa http://www.mudanya.bel.tr/ -

sabato 14 febbraio 2009

Curare sempre, DENUNCIARE MAI

Respingiamo la norma che cancella il divieto di denunciare gli stranieri irregolari che si rivolgono alle strutture sanitarie pubbliche perché bisognosi di cure.
Tale norma calpesta il principio costituzionale che tutela la salute quale diritto primario delle persone, uguale per tutti, dunque non suscettibile di qualsivoglia limitazione, neanche in base allo stato giuridico di migrante irregolare.
Evidente è poi il contrasto con l'etica e la deontologia di noi medici e di quanti esercitano professioni sanitarie, il cui compito è di curare e soccorrere sempre chiunque ne abbia necessità e facilitare in ogni modo la tutela della salute individuale e collettiva.
Che questa legge possa ridurre l'immigrazione clandestina è pura demagogia, servirà solo a rendere gli immigrati più disperati e più invisibili, li priverà di ogni tutela sanitaria, alimenterà la nascita di percorsi sanitari paralleli, al di fuori di ogni controllo e verifica da parte della sanità pubblica.
Non è difficile ipotizzare in breve tempo ripercussioni sanitarie negative per tutta la collettività, basti pensare alla difficoltà di individuare tempestivamente focolai di malattie trasmissibili.
Possibile che l'alta valenza di efficacia e solidarietà per cui il nostro sistema sanitario è apprezzato in tutto il mondo debba essere minata da leggi che, oltre ad essere contrarie alla nostra costituzione ed alla deontologia, sono anche miopi sul piano epidemiologico?
Quante volte capiterà che uno straniero, per il timore della denuncia, si presenterà alle strutture sanitarie in condizioni aggravate dal ritardo della diagnosi e terapia, con conseguenze drammatiche per la sua salute e con necessità di cure oltretutto più costose?
Che dire poi dei minori stranieri, la cui condizione sarà ancora più precaria? Quanti di essi diventeranno invisibili?
E le donne? Quante si troveranno, di fatto, espulse dai percorsi di tutela della maternità, dell'allattamento al seno, della procreazione responsabile, della prevenzione dell'aborto clandestino, della diagnosi precoce di neoplasie genitali?
Allora, gridiamo con forza il nostro NO a norme che fanno arretrare il nostro paese sul piano della civiltà.
Affermiamo il principio dell'inviolabilità del diritto alla salute e di quello, speculare, della libertà di curare ciascuno esclusivamente secondo le sue necessità, senza alcuna discriminazione.
Facciamo appello al Parlamento affinché prevalgano le ragioni dell'etica, della solidarietà, dei principi costituzionali, persino della epidemiologia e dell'economia sanitaria.
Sosteniamo tutti coloro che rifiutano di trasformarsi in delatori e rivendicano il diritto all'obiezione di coscienza rispetto a norme contrarie alla deontologia professionale e lesive di diritti costituzionalmente garantiti.

Adriana D'Amico - medico; assessora alle Politiche sociali e della solidarietà della città di Caserta

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